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Prima tappa del blogtour: Il circo dell'invisibile



Benvenuti alla prima tappa del blogtour dedicato a Il Circo dell'Invisibile di Camilla Morgan Davis.

Seguite le tappe per avere la possibilità di vincere una copia del romanzo. :)

Clio è una ragazza di quindici anni, da un anno è scappata dalla sua famiglia e vive a Edimburgo in un vecchio spaccio del pesce, ormai abbandonato. Trova nel misterioso Circo dell’Invisibile la possibilità per cambiare nuovamente la sua vita, trasformandosi nella Ballerina Sirena. Clio crede di vivere in un sogno che oscilla fra duri allenamenti, emozionanti spettacoli, strane amicizie e un dolce amore, ma il sogno nasconde una faccia oscura. Quali misteri si celano sotto i tendoni dorati e turchesi che ha imparato a considerare la sua casa? Clio proverà a scoprirlo sfidando la meraviglia con l’inganno dei suoi stessi desideri.
Camilla Morgan Davis vive insieme a una fatina che si chiama Amèlie, un prode cavaliere e due cani. Insieme incontrano strane creature, alcune sbucano dai libri che leggono prima di andare a dormire. Basta offrirgli una tazza di cioccolata calda e loro raccontano storie incredibili. Camilla non fa altro che scriverle su carta. Così nascono i suoi libri. Nulla è stato inventato. Tutto è stato vissuto, non si sa quando e non si sa dove, forse in qualche luogo lontano, in un tempo mai cominciato…

ESTRATTO
Anche questa giornata sta per finire. Il tramonto si fa pesante sulle mie spalle e le ombre si assottigliano, pronte a diventare minuto dopo minuto più piccole, fino a scomparire con l’arrivo del buio. La luce è poca e non mi permette di vedere bene. Subito non capisco cosa sia. Penso che un treno non possa muoversi sulla strada che costeggia il canale proseguendo verso Holyrood Park, non c’è nessuna ferrovia ma solo montagne, laghi e campi verdissimi attraversati da viottoli. I mercanti di Volunteers’s Walk sono quasi tutti andati via, tranne tre. Il venditore di parafulmini si mette su una panchina per guardare meglio e con le mani indica la macchia scura di legno e acciaio che sale lungo la collina, fermandosi poco prima del vulcano spento. Sulla coda del treno – non saprei come chiamarlo se non così – oscillano bandiere colorate. Su un lato ci sono delle luci che formano una scritta, ma sono troppo lontana per leggerla. La signora che vende i formaggi sorride, mentre la sua vicina di banco lascia cadere il disco che stava riponendo nel vecchio baule, un LP di David Bowie: Diamond Dogs. A tutti e tre risplendono gli occhi. Come se avessero visto una cometa cadere così vicino ai loro piedi da essere certi che i frammenti di stella realizzeranno tutti i desideri, anche quelli più segreti cuciti all'interno delle tasche dell’abito conservato per le occasioni speciali, in cui sentirsi belli e felici. Li guardo. Sono curiosa. Vorrei avere quella luce nello sguardo, sapere quello già sanno, possedere la conoscenza necessaria per illudermi che sta accadendo qualcosa di molto speciale. Qualcosa di emozionante, aggiunge la voce nella mia testa. Nello stesso momento la bocca di uno sconosciuto pronuncia la parola più magica e fantastica di tutto il vocabolario. «È il circo. È il circo. È ritornato in città. Erano due anni che non faceva tappa a Edimburgo», fa sapere il venditore di parafulmini, entusiasta come un bambino. È un ragazzo calvo e la sua testa ha una strana forma, sembra una pera. Indossa occhiali rotondi che starebbero bene sul naso di una lontra. La parola circo mi fa ricordare i racconti di nonna Odette, per lo più storie inventate per farmi addormentare che avevano come protagonisti addestratori di zebre, trampolieri che ballavano su corde sottili quanto i nastri con cui mi legavo i capelli, donne che si facevano lanciare dai cannoni con un fiore in bocca, bambini che cavalcavano ippopotami. Erano storie bellissime e mi manca molto ascoltarle. Quando la nostalgia mi prende alla sprovvista torno indietro con la memoria, come se riavvolgessi un gomitolo di lana abbandonato in un angolo della casa, ma non è la stessa cosa. I racconti di mia nonna avevano un segreto. Un piccolo potere. La sua voce era morbida come latte e quando nominava qualcosa che mi piaceva moltissimo, per esempio zucchero filato, e nei racconti del circo era un particolare immancabile, nella stanza si sentiva il dolce profumo di uva e vaniglia e nella bocca l’esplosione di zucchero dai mille aromi. I racconti di nonna Odette erano viaggi a occhi aperti che trasportavano la mia mente ovunque, sfidando le distanze che si misurano solo con i passi. Ho viaggiato e assistito a moltissimi spettacoli del circo, ritrovandomi fra i capelli stelle filanti e con le scarpe sporche di polvere dorata, ma succedeva solo con la fantasia, nella realtà non ne ho mai visto uno. «Gli artisti arriveranno domani», specifica la signora che vende i formaggi, muovendo con raffinatezza le mani verso i due vicini di banco. «E allora quelli chi sono?» interviene il venditore di parafulmini, deciso a volerne sapere di più, aggrottando la fronte, aggiustandosi gli occhiali che gli scivolano dal naso ogni volta che parla. «Sono i manovali. Allestiscono i tendoni, così quando gli artisti arriveranno troveranno tutto pronto», spiega la venditrice di formaggi, schiarendosi la voce. «Ne sei sicura?» domanda la collezionista di dischi. Si muove di qualche passo mettendosi vicino al ragazzo, chiudendosi i bottoni dell’impermeabile. Sono davanti a loro, ma nessuno mi degna di uno sguardo. A volte ho l’impressione di essere trasparente, magari possiedo un super potere e neppure lo so. Provo a scoprirlo facendo delle boccacce. La signora dei formaggi mi guarda e scuote la testa. Test fallito. «Certo che ne sono sicura», replica la donna. «Ho sentito l’annuncio alla radio e il marito di mia sorella è fra i volontari che hanno ripulito il parco e posizionato la segnaletica per raggiungere il circo. Sapete, abbiamo ricevuto due biglietti omaggio per lo spettacolo d’inaugurazione e una confezione gigante di popcorn.» Vuole suscitare invidia nei suoi interlocutori. Ora che parla del circo ha cambiato postura e sembra persino più giovane. Tiene sollevato il mento e le spalle ben dritte. «Penso che ci andrò, speriamo di trovare ancora biglietti disponibili», dice la venditrice di dischi. «Ci porterò le mie bambine. Ricordo i meravigliosi spettacoli di due anni fa. C’era un ragazzino che lottava con gli alligatori, così giovane e forte. Che dire degli spettacoli d’illusionismo? Meravigliosi.» Mentre parla guarda con aria sognante il treno, o quello che è, immaginando una nuova serata perfetta da trascorrere con la famiglia e custodire nei piccoli scrigni del cuore. «Vorrei andarci con la mia fidanzata», commenta il venditore di parafulmini, «ma è fuori per lavoro e non rientra prima di una settimana. Ho sempre voluto farmi una fotografia vicino alla gabbia dei leoni. Sai se ci sono, sai se è possibile?» chiede poi ansioso alla donna che vende i formaggi. «Mica posso sapere tutto», replica la donna. «Suvvia, è tardi. Smontiamo e torniamocene a casa. Ho i piedi congelati, non mi sento più le dita e, perbacco, per andare allo spettacolo del circo voglio mettere le scarpe con i tacchi.» Mi allunga un pezzo di formaggio, che infilo nella tasca della giacca. La ringrazio, ma lei non risponde. Mette a posto i formaggi in uno scatolone e raggiunge un uomo che sta parcheggiando un camioncino vicino al ponte di ferro, sopra il canale. * * * Non so se i tre hanno parlato ancora del circo perché, con le ultime forze che mi sono restate dopo una giornata lunga come questa, mi avvicino a passo spedito verso la collina. Sono troppo curiosa. Questa è una delle zone che preferisco di Edimburgo. Bastano pochi passi per immergermi nella natura, sembra di essere anni luce lontani dal grigio e dal chiasso della città. Attraverso un pendio erboso ricoperto di piccoli fiori bianchi. Alla mia sinistra si trova la riserva di uccelli, ma non sempre se ne vedono. Ora c’è solo un gruppo di cigni che si guardano intorno. Tengo le distanze, mi è bastato avvicinarmi e accarezzarne uno per ritrovarmi a scappare lungo la collina, inseguita non da un poliziotto come succede di solito, ma da un cigno. Emetteva versi minacciosi che nella lingua dei cigni sono sicura volessero dire: come ti permetti di toccarmi, puzzona di una ragazzina puzzolente, ora ti faccio vedere io! Il sentiero è fangoso, a fermarmi non sono i miei piedi che affondano nella terra putrida ma una folata di vento gelido che mi spinge indietro, facendomi cadere dentro una pozzanghera. Che botta, ho il sedere ricoperto di fango. Mi rimetto in piedi, cercando di pulirmi un po’ con le mani ma ora anche quelle sono impiastricciate. Le pulisco sfregandole contro delle foglie, ma per rimediare a un pasticcio se ne crea uno più grosso. Faccio un passo in avanti e un’altra spinta di aria ghiacciata mi si rivolta contro. Per non cadere mi aggrappo con tutte e due le mani a un lampione. Il vento smuove la terra, infiamma le ciglia e mi solleva i capelli. Per un attimo mi chiedo se sia possibile che lo stesso vento stia scuotendo anche le finestre di casa mia. Non la Casa dei Pescatori in cui Lilli con del nastro isolante ha rattoppato tutte le fessure da cui si infiltravano gli spifferi, ma la casa da cui sono scappata. Quasi vedo la scena. Il vento sbatte alle finestre con pugno deciso e la caparbietà viene premiata perché le finestre si spalancano, i lampadari oscillano fino a quando l’avanzata sovrasta il letto dove i miei genitori dormono. Svegliandosi di soprassalto si spaventeranno un sacco. Che pensiero assurdo. Finiamolo qui. Ritorno al presente. Gli alberi si piegano alla furia del vento, oscillano come stuzzicadenti piantati in un vaso. Le foglie più deboli cadono dai rami e mi turbinano intorno, avvolgendomi in un cono che ruota perfettamente, prima di sparpagliarsi nell’aria. Resto aggrappata al lampione. È come se fossi in procinto di precipitare sull’orlo del mondo e non capisco se il vento voglia trascinarmi nell’abisso o impedirmi di caderci dentro. Una nebbia mi circonda fino alle caviglie. È bianca come latte e densa come cotone, sembra di camminare in un cumulo di nuvole. La sfioro e la mano ci passa attraverso, è vapore, ma asciutto. Non mi intendo di fenomeni naturali, ma questo mi sembra molto strano. Il treno ancora distante emette un rumore stridente. Inizialmente sembra un fischio, poi un sibilo che mi fa sobbalzare, segnale che la locomotiva si è fermata. Tutto intorno si accendono dei fuochi. Ardono nel buio e mi permettono di intravedere figure maschili che scaricano bauli e piantano assi di legno nel terreno. Il vento freddo geme ancora più forte. Uno sbuffo di vapore turchese si solleva dal treno. Ai bastoni piantati nella terra vengono issati teli giganteschi. Voglio avvicinarmi e riprovo a fare un passo in avanti, lasciando solo una mano aggrappata al lampione, ma il vento mi allontana. La mano non riesce a mantenere la presa e ricado con il sedere per terra. A fine serata sarò piena di lividi. Le nuvole si innalzano in un muro che sembra urlare: qui non puoi passare. So che è assurdo anche solo pensarlo, ma credo che il vento sia generato dai polmoni di metallo del treno. È il suo animale da guardia a cui è stato affidato il compito di non far avvicinare visitatori curiosi e non graditi, come me. Le bandiere si trasformano in un pallone che si gonfia sotto il mio sguardo: sono i tendoni del circo. Solo quando si ingrandiscono al punto di fare il solletico alla luna le nuvole si ritirano, risucchiate dai tombini. Le immagino cadere in un imbuto collegato a un aspirapolvere grandissimo. Il vento guardiano smette di ringhiarmi contro e i fuochi si spengono. Ritorno alla Casa dei Pescatori con un solo pensiero nella testa: il circo sta per arrivare in città. Ma una serie di tuoni mi avverte che sta per sopraggiungere anche altro, un temporale pronto a riversare cascate d’acqua su Edimburgo.







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