ESTRATTI
"Passai in rassegna con lo sguardo i vinili esposti nella teca di legno pregiato e ne presi uno.
Posai il disco di pece sul piatto del grammofono e posizionai la punta. Carezzai il dorso dorato del cono e sprofondai sulla poltrona in velluto verde, bardata di drappi persiani con le frange che terminavano in piccoli cristalli.
Accanto c’era un tavolinetto in mogano, su cui erano poggiati una bottiglia di bourbon, una scatola in argento di sigarette alla vaniglia e un bocchino in avorio.
Il disco gracchiò, come un cantante che scalda la voce prima di un’impegnativa esecuzione.
Ed eccolo. Debussy.
La musica si diffuse nella stanza come un balsamo e me ne sentii umettata dai piedi, ai capelli. Le palpebre si chiusero e gustai quel frammento di fiammeggiante bellezza, di perfezione. Di immortalità.
Presi una sigaretta dalla scatola, soffermandomi a percorrere con i polpastrelli i fini ricami cesellati sul coperchio. La infilai nell’imboccatura del bocchino e la accesi.
Gary mi ripeteva spesso di non fumare. Diceva che mi avrebbe rovinato la voce. Personalmente credevo che fosse stato anche il tabacco a contribuire a quel mio suono grave e corposo. Al pubblico piaceva il mio timbro, dubito che potesse cambiare.
Inspirai e sbuffai una voluta d’argento che si mise a danzare sopra la mia testa. Altri nastri azzurrognoli si accavallarono in un’acrobazia nell’aria."
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