Titolo: Il serpente e la rosa
Autore: Lisa Laffi
Editore: I Doni Delle Muse
ISBN: 978-88-99167-12-7
Pagine: 330
Prezzo: 14 euro
Quando Bianca Riario è costretta ad abbandonare Roma per ritirarsi nella
residenza di Forlì, è ormai rassegnata a un ruolo di secondo piano all’ombra
della madre, Caterina Sforza.
Guidata dallo storico Leone Cobelli, apprenderà tuttavia la complessità
delle relazioni politiche che coinvolgono la sua famiglia, fino a comprendere
il tradimento che si sta consumando ai danni del Serpente degli Sforza e della
Rosa dei Riario.
Unico indizio nelle sue mani, alcune quartine dal significato oscuro che
parlano di complotti, in anni in cui è sempre più difficile distinguere alleati
e nemici. Tra congiure e lotte per mantenere il potere, Bianca e Caterina
tengono tra le mani le sorti della Romagna anche quando ogni speranza sembra
vana.
Laureata
in Conservazione dei Beni Culturali e insegnante di Lettere, Lisa Laffi vive a
Imola dove per anni ha lavorato per il giornale Il Nuovo Diario Messaggero come
redattrice e caporedattrice.
È
autrice di una commedia teatrale e di due saggi di storia locale, pubblicati
all’interno di Pagina e vita di storia imolesi.
NOTA DELL’AUTORE
Non ricordo il momento preciso in cui ho scoperto il
personaggio di Bianca, ma ricordo che ogni volta che sentivo parlare di
Caterina Sforza pensavo anche a lei, chiedendomi come potesse essere stata la
sua vita accanto a una donna come la “Tigre della Romagna”.
Il loro è stato sicuramente un rapporto particolare perché
la contessa di Imola e Forlì ha spesso anteposto il suo ruolo politico a quello
di madre.
Si tramanda che Caterina abbia detto, alla fine della sua
esistenza: «Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo».
È stato quasi naturale per me, cinquecento anni dopo,
raccogliere l’ultima provocazione di Caterina e scrivere la sua vita,
guardandola attraverso gli occhi di una testimone d’eccezione come sua figlia.
Adoro studiare le donne del passato, il loro posto nella
società e la loro lotta per il potere. Più cercavo notizie su Bianca, più mi
pareva il tipo di personaggio che amo in modo particolare: una donna che è
trascurata o negata dalla storia tradizionale, ma che può essere riscoperta
mettendo assieme tanti piccoli pezzetti dell’enorme puzzle di cui fa parte.
Per quanto gli episodi narrati nel romanzo possano sembrare
eccezionali, sono rimasta quanto più possibile aderente alla realtà storica.
Gli incontri di Caterina e Bianca con Leonardo da Vinci o con Niccolò
Machiavelli sono avvenuti davvero, le battaglie combattute contro la peste e
contro il Valentino ci sono state e anche la storia del messaggio affidato al
cronachista Leone Cobelli da un misterioso frate è storicamente provata. Mi
sono limitata a dare loro spessore.
DAL ROMANZO
Quegli occhi screziati d’oro non mi abbandonano un istante. Sembrano seguirmi
lungo tutta la stanza, studiano ogni mia mossa e paiono in grado di leggere nel
mio animo. Il collo della donna che mi osserva malinconica è lungo, elegante e
mi ricorda quello di uno dei cigni del nostro giardino, ma sono le mani ad
attirare la mia attenzione. Sono bianche, le dita lunghe e affusolate stringono
una rosa. Una rosa canina. Per un attimo mi sembra che emani profumo, ma non è
possibile.
Chi l’ha creata era un genio, ma non era Dio. La rosa e i gelsomini sono
un’illusione sulla tela, così come la donna che li stringe dolcemente tra le
dita. Sono il simbolo di un’epoca che sta scomparendo.
Mi avvicino a piccoli passi e le tocco il volto. «Hai davvero mantenuto la tua
promessa» sussurro. La donna mi guarda. Non può sentirmi o forse sa che non sto
parlando a lei, ma a qualcuno che ormai non può più udirmi. «Pensavo che tu non
potessi morire mai, ma eri un uomo. Gli uomini diventano polvere e tu non fai
eccezione. Sarà grazie alla tua arte che tu e io vivremo per sempre».
Continuo a fissare il quadro, tocco le pennellate invisibili con una mano
mentre con l’altra non riesco a evitare di accartocciare la lettera che mi è
appena arrivata dalla Francia. Quando il messaggero mi ha comunicato che
proveniva da Amboise non ho capito immediatamente, ma mi è bastato scorgere la
calligrafia di Salai per iniziare a tremare.
«Cattive notizie da Milano?». La voce di Costanza, la maggiore delle mie
figlie, mi riscuote. Tra le sue mani stringe rose canine e gelsomini. Come la
donna del quadro. La somiglianza tra le due è grande, se non per il sorriso.
«No, piccola mia. Non da Milano, ma da Amboise, in Francia».
Il suo sguardo interrogativo lascia il posto a un’occhiata malinconica. Se non
avesse appena posto i fiori in un vaso accanto al quadro e vestisse abiti
fiorentini, sarebbe identica alla dama che ci osserva in silenzio dall’alto.
«Siete voi, vero?» chiede con voce pacata. Sta cercando di infondermi una
tranquillità che ho perso da quando ho ricevuto quella maledetta lettera. «A
volte, quando siete assente, mi siedo qui davanti a lei e le parlo. Le
somigliate così tanto e mi sembra così viva che mi pare di essere davvero con
voi. È come se foste tra questo mondo e l’altro. L’uomo che l’ha realizzata era
a un passo da Dio».
«Ora è lì con lui e il mondo ha probabilmente perso il più grande pittore di
tutti i tempi. Questa tela è opera del maestro Leonardo. Sei giorni fa è morto
in Francia, alla corte di re Francesco, l’ultimo signore che ha saputo capirne
la grandezza».
«Leonardo?». I suoi grandi occhi mi guardano sorpresi. «Voi conoscevate il
grande Leonardo? Mi volete far credere che vi fece dono di un suo quadro?». La
pacatezza nella voce di Costanza è scomparsa. In pochi istanti riconosco la sua
curiosità e il suo desiderio di avere risposte.
«Mi regalò questo quadro, sì, e anche molto di più».
«Cosa?» chiede incuriosita.
Non rispondo, non ce la faccio. Mi guarda eccitata e piena di aspettative per
qualche istante, poi, quando vede che nulla esce dalle mie labbra, inizia a
toccare le mani lunghe, aggraziate e sottili della Dama. Così l’avevano sempre
chiamata in famiglia i bambini, senza osare mai avvicinarsi. In quel momento,
invece, Costanza sta sfiorando la rosa canina. Il simbolo dei Riario.
Non so nemmeno io perché lo faccio, ma le scosto bruscamente le dita dalla tela.
«L’immortalità. Leonardo ha donato a me e a mia madre l’immortalità. E se vuoi
sapere come due giovani donne, dopo avere perso un signoria, ricchezze e onori,
conquistarono il dono più grande, devi solo chiedermelo e io te lo racconterò.
Non c’è nulla che io non ricordi di quegli anni».
Costanza si siede a terra e sfodera il suo enigmatico sorriso. Lo stesso che
vedevo sul volto di Caterina Sforza, mia madre, nei momenti più difficili della
sua esistenza.
«Sono pronta, raccontatemi».
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