Era l’ancella prediletta della Luna, vestale di un tempio fatto di immortalità. Si chiamava Estelle.
Il suo compito era quello di cucire stelle, sul manto della notte.
In una sera di agosto, una delle stelle scivolò dalle sue mani e, cadde giù. Estelle corse a prenderla, ma la stella pioveva e pioveva, vorticosamente, disegnando volute di luce.
Uno strappo stridette alle sue orecchie. La stella era caduta sul fondo della notte, ne aveva lacerato il prezioso tessuto.
Estelle oltrepassò lo squarcio e lo vide. Era Apollo sul suo carro dorato che schioccava fruste di sole.
L’immagine delle carni ambrate e delle chiome laccate di miele, punsero ai suoi occhi, come spilli di fuoco.
Avrebbe voluto baciarli quei capelli e pettinarli, intrecciandone sogni e brame. E quelle labbra, sarebbero state porti, in cui far attraccare ogni sua fantasia.
Avrebbe voluto, Estelle, lasciare la notte e rinnegare la Luna che tanto misericordiosamente si era presa cura di lei, quando era sola.
Il suo cuore sarebbe divenuto talamo per quel dio, che dall'oscurità emerse, come una perla dal ventre del mare.
Estelle tornò alla notte, e quante lacrime versò. Oh, quante.
E’ per questo che le notti di agosto si illuminano di scie oro-argento. Stelle cadenti che i mortali ammirano con ingenuo stupore. Eppure non sanno, che quelle sono le lacrime di Estelle, per l’amato mai avuto.

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